Mentre scrivo questo post, moltissime persone in Italia e in altri Stati occidentali, si ritrovano davanti alle Ambasciate e ai Consolati Israeliani per manifestare il loro dissenso, ( ma è parola troppo debole, diciamo sdegno ) per l’aggressione alla nave degli aiuti umanitari ai palestinesi. Il governo di destra di Gerusalemme ha spinto in modo dissennato l’acceleratore verso una brutale repressione, mostrando una cecità politica che rasenta il salto nel buio. Di tutto aveva bisogno Israele che non fosse, gettarsi da sola nel discredito o peggio, attirarsi l’ira dei pacifisti e dei “liberal” di mezzo mondo. E’ evidente che aprire il fuoco contro Freedom Flotilla mette in discussione la sicurezza dei cittadini israeliani. Ma i governi di Destra, sotto tutte le latitudini sono connotati da politiche aggressive, dove si coniuga espansionismo muscolare, ossessivo nazionalismo all’intolleranza religiosa o all’esasperata ostentazione della bandiera identitaria. Il governo del Signor Netanyhau è un tipico esempio. Volendo imporrere una supremazia a tutto tondo, diviene incendiario in un contesto dove ogni cosa è infiammabile. Oltre la metafora, Israele è adagiato su un terreno che sprigiona petrolio, buttarci sopra tizzoni ardenti è offrire pretesti ai dittatori iraniani, o chi per loro. Sicuramente gli integralisti delle varie specie si sfregano le mani. Forse ai palestinesi manca un Nelson Mandela e ad Israele uno statista alla J.F. Kennedy. Ma con i “forse” non si fa storia. Alla mia breve nota, faccio seguire le considerazioni di uno dei più grandi scrittori viventi, l’israeliano Amos Oz sul ” compromesso”. “Tra uccidere e morire”: [ .. i giovani pensano che il compromesso sia opportunistico o disonesto. Ma nel mio vocabolario, il compromesso è sinonimo di vita, dove c’è vita c’è compromesso. L’opposto non è integrità e onestà, ma fanatismo e morte. Il compromesso per me è una filosofia, un modo di vita. Esso è cercare di incontrare l’altro a metà strada.] A suggellare l’importanza di questa via dell’incontro, aggiungo una poesia del maggiore poeta arabo: Adonis o Alì Ahmad Sa’id Esber siriano di nascita, libanese di vita, oggi cittadino francese. Da “Memoria del Vento” – Canti di Mihya’r il damasceno-
Ti ho chiamata nube / o ferita / o piccione migratore
ti ho chiamata penna e libro /ed eccomi qui ad avviare un dialogo
tra me e la lingua dal nobile passato / nelle isole dei libri
nell’arcipelago dell’antico errore / ed eccomi qui che insegno a dialogare
al vento e alle palme / o ferita o piccione migratore.
In chiusura inserisco l’intervista ad una scrittrice pacifista israeliana, ma questa presentazione è misera, riduttiva. Di Manuela Dviri e del suo libro ” Vita nella terra di latte e miele” tratterò in un prossimo post.
Nella mia carriera di pubblicista-cuciniera ho scritto su svariati argomenti. Cronaca locale, cronaca rosa, rubriche di posta per i lettori, recensioni di film, bricolage di ogni tipo e via discorrendo. Mi sono, però, sempre rifiutata come già detto, in altri vecchi post di occuparmi di coccodrilli. Non sono capace di tenere una distanza professionale e critica per tessere l’elogio funebre di qualche illustre esponente della società politica o culturare. Mi limito a riportare la notizia tout court, aggiungendo solo soggettive considerazioni. Edoardo Sanguineti non c’è più. Era un poeta straordinario e un uomo delizioso. Mi ha regalato piacere, divertimento, gioia, salti mortali di erotica allegria, partecipazione all’impegno civile, e un’ irresistibile continua caccia al tesoro nella foresta delle parole. Quanto di meglio si possa chiedere ad un autore contemporaneo coltissimo, ironico e “grande esloratore”. Era un po’ pazzo come si conviene ai poeti. Come dice Platone in Fedro,245 a :” Chi senza la follia delle Muse, si avvicina alla poesia, inutile è lui e la sua arte …” Per ricordarlo ho scelto dalla sua vasta produzione, i versi che Sanguineti ha dedicato a Sandro Pertini.
Per una rosa
chi ha resistito, gli è fiorito il cuore, / rosa di rossi fuochi partigiani:
questo è il colore per le nostre aurore,/ è il caldo sole del giusto domani:
sbocciato è il giorno, e la notte era nera/ ma rigido fu l’inverno, prima,
fiori di rose rossa primavera, / e la rosa risplende sulla cima:
Da “Il gatto lupesco” (poesie 1982-2001) Le comete Feltrinelli.
Come si nota, oltre il suo fuoco pirotecnico di avanguardia acrobatica, il poeta non teme, come ritengo giusto, utilizzare parole come ” rosa” o “cuore” che, per alcuni con poca follia e tanta puzza al naso, sono perigliose trappole retoriche o per altri dilettanti allo sbaraglio, abbondano come il riso sulla bocca degli stolti. Grazie maestro-compagno o se preferite compagno maestro. Una lacrima non di cera.
Il 17 maggio è la data convenzionale stabilita, almeno nel mondo occidentale, per ricordare l’odiosa discriminazione verso omosessuali, lesbiche, transessuali da parte di governi, istituzioni repressive e bigotte, e persone ingabbiate da pregiudizi e timor panico del”diverso”. La storia dell’umanità, intrisa di lacrime e sangue, è lastricata di massacri, genocidi, roghi, scomuniche, graticole per arrostire tutti coloro che deviano dalla “norma”. La norma stabilità da un imperatore o papa, o potere borghese, o dittatura è sempre stata funzionale al mantenimento dello status quo. Tutt’oggi le destre governative e le teocrazie si oppongono con argomenti pretestuosi a questo o quel “diverso”. A volte è il rom che delinque, a volte è l’ebreo deicida /strozzino, spesso, troppo spesso è l’omosessuale. Se poi sei donna e ,crimine imperdonabile, sei pure comunista e lesbica, il cerchio si chiude e la gogna collettiva ti addita come una povera insensata da evitare o peggio. Sto scrivendo con un filo di vergogna, banalità trite e ritrite, ma il salto da gigante all’indietro dell’orologio dei costumi, leggesi ritorno al più bieco conformismo, mi obbliga a questo triste compitino. Per ricordare la giornata mondiale CONTRO L’OMOFOBIA, accendo una luminosa fiammella a Paul Verlaine che, scrive all’amato Arthur un sonetto.
A Arthur RIMBAUD
Mortale, angelo E DEMONE, vale a dire Rimbaud / tu meriti il primo posto in questo mio libro
benché uno sciocco imbrattacarte l’abbia tratta da debosciato/imberbe e mostro in erba e studente ubriaco.
Le spirali d’incenso e gli accordi di liuto/segnalano il tuo ingress0 nel tempio della memoria
e il tuo nome radioso canterà nella gloria, /perchè mi hai amato come bisognava.
Le donne ti vedranno gran giovanotto forte/bellissimo di una bellezza contadina e astuta,
molto desiderabile, di un’indolenza audace!
La storia ti ha scolpito trionfante sulla morte / e fino ai puri eccessi amante della vita,
poggiati i bianchi piedi sulla testa dell’invidia!
Un Omaggio al mai dimenticato regista tedesco Fassbinder e a Jean Genet…con la voce unica di Jeanne Moreau
Mentre S.E Sire Silvio si appresta a raggiungere un consenso, una si sarebbe detto “bulgaro”, ben oltre gli affaires: giudici, divorzio, minorenni, espulsioni xenofobe, ecc.. voglio regalarvi questi brevi versi Di Bertolt Brecht.
Prima di tutto vennero a prendere gli zingari / e fui contento perché rubacchiavano . Poi vennero a prendere gli ebrei / e stetti zitto perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali/ e fui sollevato perché provavo fastidio. Poi vennero a prendere i comunisti/ e io non dissi niente perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me/e non c’era rimasto nessuno a protestare.
Oggi è il 25 Aprile, normalmente chi scrive chiude il computer e va a festeggiare. Prima di uscire ed andare alla consueta manifestazione che, ogni anno rinnova in un serpentone multicolore di bandiere e di canti lo spirito della Resistenza,vi lascio con una poesia notissima. Eppure sempre straordinariamente “forte”. Non dimentichiamo mai che, questo gioioso giorno, ricorda il sacrificio “della meglio gioventù” e la lotta di tanti italiani contro la barbarie nazista e fascista. A costo di essere noiosamente ripetitiva, è indegno equiparare i partigiani con i repubblichini di Salò. La pietà per i morti non cancella che, i primi si batterono per la libertà dalla dittatura e contro l’occupazione tedesca, i secondi, pur in buona fede, combatterono a fianco delle SS e per un Duce responsabile della guerra e dei suoi conseguenti massacri.
ALLE FRONDE DEI SALICI
E come potevamo noi cantare / col piede straniero sopra il cuore
fra i morti abbandonati nelle piazze /sull’erba dura di ghiaccio,al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero/della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto, anche le nostre cetre erano appese,
Tiro fuori dal cono d’ombra della libreria, il Meridiano del caro Giovanni Giudici ultimamente un po’ troppo trascurato. Il nostro poeta nasce a Le Grazie, comune di Portovenere nel 1924. Si iscrive a Medicina e dopo un anno passa a Lettere fino alla laurea nel 45′. Lavora all’ Olivetti di Ivrea come addetto alla biblioteca. Si sposta prima a Torino, dove stringe amicizia con Beppe Fenoglio e con Giovanni Arpino, dopo si stabilisce a Milano, instaurando un forte legame con Franco Fortini. Sposato, padre di due figli, oggi Giudici vive tra Lerici e Milano. Delle molte raccolte di versi ricorderò : “La vita in versi”, “Il ristorante dei morti”, “Lume dei tuoi misteri”. Voglio proporre due poesie di carattere erotico tra le tante, non così note.
TANTO GIOVANE
“Tanto giovane e tanto puttana”:
ciài la nomina e forse non è / colpa tua- è la maglia di lana
nera e stretta che sparla di te.
E la bocca ride agra: /ma come ti morde il cuore
sa chi t’ha vista magra / farti le trecce per fare l’amore.
SENSI
Come per quotidiana intimità/ che più non ci sorprende del noi stesso
in piena luce in ombra e oscurità/abito non diverso nel tuo sesso:
lo guardo attento insieme a te patisce/il gentile morirsi d’ora in ora,
la lingua ti nomina e lambisce,/la mano ti medita e ti esplora
il respiro ti parla,il tuo tremore/del futuro svuotato m’impaurisce
l’orecchio accosto al cuore/ un tempo di brevi momenti scandisce:
dove in te scopro una terra evidente/che nei previsti confini concludo
mia familiare madre e parente/coscienza e corpo nudo.
Le notizie che arrivano dai palazzi del Reame sono tutte favorevoli al nostro Augusto Sire. Un sondaggio dell’ultima ora annuncia che, alle prossime elezioni il partito di Sua Eccellenza il Cavaliere avrebbe il 40% dei consensi. Se ciò fosse, significherebbe che l’amore, la considerazione, la fiducia per l’Uomo della Provvidenza, lo trasfigurerebbe nell’Uomo dei Miracoli. Praticamente un gigante, contro i lillipuziani della sinistra sempre più trascurabile e marginale. Il Pd avrebbe il 25% e il resto Sinistra e Libertà e Rifondazione il 6,5%. Inoltre il partito dipietrista IDV il 7,8% e Udite!Udite! la Lega circa il 10%. Questo secondo un rilevamento Digis Sky. Passando ad altro argomento, oggi su Repubblica Eugenio Scalfari scrive con la maestria che gli propria un articolo che conferma quanto abbiamo sempre pensato, ossia che per il Sire nostro chi critica, non dico ostacola il suo verbo è comunista. Nell’accezione di bolscevico mangia-bambini. Per dissipare queste nerissime nuvole che incombono sulle teste di tutti i democratici e pure sulla mia, mi consolo con una breve, straordinaria poesia di Emily Dickinson. Prometto nei prossimi post che mi occuperò di questa “eccezionale” poetessa, la quale merita un adeguato spazio. Per una volta considerata la brevità del componimento la trascriverò in inglese con relativa traduzione.
The mob within the heart/ Police cannot suppress
The riot given at the first/ Is authorized as peace
Uncertified of scene/Or signified of sound
But growing like a hurricane /In a congenial ground.
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La folla dentro il cuore /nessuna polizia potrà disperdere
Di fronte ad un rovinoso terremoto ci sono poche parole da spendere, si rischia di cadere nel banale, nella retorica di circostanza. Persone a me molto care, che hanno vissuto la grande devastazione del 1976 in Friuli mi hanno raccontato come quell’esperienza, abbia cambiato in modo radicale, non solo la percezione del territorio ma soprattutto quella dello spazio interiore. Il senso dell’ imminente minaccia, della perdita, dell’impotenza, della precarietà è il comune denominatore di chi si trova ad affrontare catastrofi naturali. Per mia fortuna, la città dove vivo non è luogo sismico e le scossette che qualche volta ho percepito sono state ininfluenti. Devo ammettere che, per quanto leggere mi hanno lasciato una vaghezza di inquietudine mai dimenticata. Il terremoto in Abruzzo mi induce a pensare concretamente a come dimostrare una tangibile solidarietà. Passata l’emergenza raccolta di sangue, è attuale e importante la raccolta di fondi. Basta rivolgersi alle organizzazioni ad hoc vedi Caritas, Croce Rossa, Protezione Civile ecc.. Trovate indirizzi e numeri di conto corrente sul web. Anche se è tempo di prosaica operosità, vi lascio in compagnia di un frammento poetico del grande Ovidio, poeta di Sulmona lontano secoli eppure straordinariamente attuale.
Da “Tristia” I- 9
“A te che leggi con occhi non ostili questa mia opera, auguro di arrivare al traguardo della vita senza subire colpi, e spero che le mie preghiere per te vengano esaudite: quelle che ho fatto per me non hanno commosso gli dei inesorabili. Finché si è sani e salvi si hanno amici in gran numero; ma quando il cielo si fa nuvoloso si resta soli. Lo vedi, le colombe volano ai tetti imbiancati, mentre una torretta trascurata non accoglie nessun uccello; le formiche non si dirigono mai verso i granai vuoti: nessun amico si recherà da chi ha perso tutto. E come l’ombra accompagna chi cammina illuminato dai raggi del sole ( e sparisce, quando questo è nascosto dalle nuvole),così la gente, incostante, segue lo sfavillio della fortuna: se ne va appena arriva una nube a coprirlo……………………………………………………….”